domenica 3 novembre 2013

Non ci casco

Mi stanno spiegando da due giorni che questa vicenda del Ministro Cancellieri che telefona per intercedere a favore della signora Ligresti, detenuta e malata, per favorirne la scarcerazione è diversa da come la ho capita io. Mi dicono che l’umanità viene prima della politica, che non c’è nulla di male ad intervenire a favore di una persona in difficoltà. Nessuno mi ha ancora detto che si tratta, tra le altre cose, di un dovere cristiano. Ma mi aspetto accada presto.
Ci ho pensato molto. Mi hanno anche detto che la Cancellieri è intervenuta per altri detenuti, che si è occupata del caso di Cucchi, la cui famiglia le è molto grata per questo. Mi dicono che spiegherà in Parlamento e che non bisogna affrettare il giudizio.
Mi dispiace, non ci casco. Se il Ministro spiegherà di non avere mai fatto quella telefonata “ad personam”, ok. Se non dirà questo, a mio avviso si deve dimettere.
Io penso che la politica sia quella cosa facendo la quale si cerca di migliorare la vita di tutti. Chi fa politica e soprattutto chi governa, a tutti i livelli, non deve risolvere i problemi dei singoli cittadini, non ha il compito di affrontare “casi umani”. Chi fa politica e chi governa deve cambiare le cose, in modo che non ci siano “casi umani” da affrontare e risolvere. Questo, se non per ragioni etiche, per un motivo assolutamente pratico: non tutti i “casi umani” possono essere risolti con un intervento ad personam. Anzi, molti casi non arrivano nemmeno all’attenzione di qualche governante che abbia il potere, o una qualche influenza, per risolverli.
Qui nasce il problema e qui sta il nocciolo della questione. Perché qui conta chi sei, quali conoscenze hai, con quale facilità riesci ad ottenere le attenzioni del governante di turno, sia esso un assessore di paese o un Ministro della Repubblica.
E qui sta pure il succo di una vicenda che, per come la si rigiri, continua a somigliare a quella scena in cui il Marchese del Grillo se ne va libero, perché “io so’ io e voi nun siete un cazzo”. Verrebbe da citare Nanni Moretti, col suo “Ve lo meritate, Alberto Sordi!”, non fosse che non c’è proprio niente da ridere. Specie se qui e ora – intendo proprio qui in Italia e oggi – la differenza tra chi è qualcuno e chi non lo è significa uscire o restare a marcire in galere sovraffollate, rischiando la pelle.
Quindi non ci casco. E nemmeno accetto la morale sul “senso di umanità” da chi in questi anni non ha speso una parola o un gesto per risolvere concretamente il tragico problema delle carceri italiane. Un problema che proprio dalla custodia cautelare in carcere si dovrebbe cominciare ad affrontare. Per tutti, anche per la signora Ligresti. Anche per i parenti di quei disgraziati che ogni fine settimana vedi davanti a San Vittore, senza agende fitte di numeri importanti, per entrare a trovare i propri cari detenuti.
E si capisce che l'esistere e il resistere di tanto evidenti differenze tra "chi può" e "chi non può" è la ragione principale del disprezzo di molti cittadini verso la politica e verso "il potere".

giovedì 10 ottobre 2013

Galere. E fascisti

Quando ero ragazzo ho imparato a essere garantista. Perché le carceri erano piene di poveracci e perché chi è poveraccio ha molte più probabilità di finire in galera rispetto a chi non lo è. Intanto, perché più difficilmente troverà un modo onesto per farsi strada o anche solo per tirare avanti, poi perché i poveracci non possono scegliersi i migliori avvocati. Essere garantisti è di sinistra, essere giustizialisti è di destra… “Ci hanno insegnato la meraviglia verso la gente che ruba il pane, ora sappiamo che è un delitto il non rubare quando si ha fame”.
Tutta la storia umana sui delitti, le pene e le galere ci racconta una realtà inconfutabile: in dittatura o in democrazia, coi re o con le repubbliche, quanto maggiore è la propensione a rinchiudere chi si comporta male“buttando via la chiave”, tanto più alta è la quota di poveracci e disgraziati che finiscono “dentro”. Il caso degli Stati Uniti – che sono e restano una grande democrazia – è emblematico al riguardo: basta guardare le statistiche sulla popolazione carceraria di quel Paese per etnia. E non essere razzisti, ovviamente.
La violenza verbale con cui è stato accolto il messaggio alle Camere del Presidente Napolitano sulla situazione carceraria da parte dei grillini mi ha colpito. Dirò di più: sconvolto. Una serie di insulti e di contumelie, di sospetti (infondati, inconsistenti, quindi falsi e creati ad arte) e di intemperanze lessicali che ricordano – l’ho scritto e lo ripeto – la peggiore violenza verbale di stampo fascista. Tanto più violenta, volgare e fascista perché riguarda le galere. E i disgraziati che ci “vivono”dentro.
Da un movimento che si pretende particolarmente vicino al Popolo, ci si aspetta un’attenzione particolare proprio nei confronti dei più deboli. Tra questi, i detenuti (molti in attesa di giudizio, molti in galera per piccoli reati di droga, ben pochi per i tanto polemizzati crimini “da colletti bianchi”) sono i meno difesi. Essi, per chi pensa male delle istituzioni al punto da insultare apertamente il Capo dello Stato, dovrebbero essere oggetto di particolare attenzione e tutela. Proprio perché di quelle istituzioni – pretese ingiuste, corrotte e cattive – sono quotidianamente alla mercé.
Sulla mia bacheca di Facebook, si sono dati convegno ieri – da mezza Italia – un certo numero di militanti grillini. Tutti offesi per l’uso della parola “fascisti”, hanno esposto con vigore e puntualità il loro punto di vista. Sulle carceri e su chi dovrebbe finirci. Tralasciando gli insulti e alcune altre amenità, pubblico qui di seguito un piccolo florilegio di affermazioni grillesche, leggendo le quali ciascuno potrà farsi un’opinione.
Ah, tralascio anche di ricordare che darsi convegno in trenta a casa di qualcuno (tale è una bacheca di Facebook, per quanto pubblica) per insultarlo tutti insieme, un tempo lo chiamavamo “squadrismo”.

Sui politici e sulla giustizia del Popolo:“Per me vale ancora il TUTTI A CASA ... e se è possibile anche in carcere”.
Sull’esistenza o meno dell’emergenza carceri: “Com'è che di emergenza carceri ne parlate solo da quando molti di voi le stanno vedendo dall'interno, cioè dal 92? Anche prima esisteva, ma mai ne avevate parlato”.
Sul perché uno è garantista: “E' un mondo al contrario, adesso chi vuole i criminali in galera è un fascista. Ma in realtà chi vuole svuotare le carceri è solo perchè sa di avere qualcosa sulla coscienza lui e i suoi amichetti”. Se vuoi carceri decenti è perché temi di finirci tu.
Ancora sull’emergenza che non esiste:“Il problema carceri serve per far uscire tutti i delinquenti piddini e pidiellini quando serve...”
Infine, sublime: “Zero amnistia e indulto...non facciamo più arrivare barconi e i pomodori li facciamo raccogliere ai carcerati in sovrannumero e agli assessori”.
L’ultimo, in particolare, per dimostrare di non essere fascista, ha preso la tessera dei Khmer Rossi: rieducazione attraverso il lavoro nei campi, per i nemici del Popolo. Che dite, c’è da preoccuparsi?

Post Scriptum: ieri il M5S diceva di avere proposte interessanti per risolvere l’emergenza carceri senza amnistia (magari le stesse che fino alla settimana scorsa si potevano appoggiare sottoscrivendo i referendum radicali; quelli che io ho firmato e loro no…). Ma questo rende ancor meno comprensibile l’attacco sguaiato al Capo dello Stato. Il quale ha invitato il Parlamento ad affrontare e risolvere un problema: se ci sono soluzioni diverse, chi sta in Parlamento le proponga. Questo ieri, quando il M5S aboliva il reato di clandestinità. Oggi hanno cambiato idea. O meglio, hanno parlato Grillo e Casaleggio e il reato di clandestinità (che riempie le galere) deve rimanere.
Quelli che si offendono se gli dai dei fascisti, si guardino piuttosto intorno e si chiedano se sono davvero con la compagnia giusta. Sveglia, neh!

domenica 15 settembre 2013

Sul leaderismo

Ieri sera ho ascoltato un discorso di Pierluigi Bersani. Siccome la compagnia era buona, ho resistito fino in fondo. Il nocciolo delle argomentazioni è la polemica contro il "leaderismo".
Il Pd è un collettivo, non abbiamo bisogno di leader carismatici, che hanno già fatto troppi danni in questi venti anni. "Io sono uno di tanti" - ci spiega Bersani - e prima viene il Partito. Dice Berlusconi, ma parla di Matteo Renzi. Pensa che il "popolo" sia - ancora - disposto a bersi questo accostamento fuori dal mondo. Sbaglia, come dimostrano i bagni di folla che accompagnano il tour di Renzi nelle feste del Pd. Ma il punto non è questo.
Il punto è che poi qualcuno che non ti aspetti, sfrutta l'opportunità di essere di fianco a lui sul palco per fargli un attacco che nemmeno il peggiore degli avversari. In questo caso, la vice-sindaco bersaniana di Milano De Cesaris: partendo dall'offesa per aver atteso un'ora prima di avere la parola, ha attaccato Bersani su tutta la linea. Lo ha smontato, o almeno ci ha provato. La danno in partenza per altri lidi, aggrappata al "carro del vincitore". Ma il punto non è neppure questo.
Il punto è che questa scena - francamente squallida - mostra plasticamente quanto e in quale modo il Pd di Bersani sia stato "partito del leader": un luogo nel quale il capo si ergeva - e si reggeva - sulle correnti in equilibrio. Nel quale l'adesione alla linea del capo era spesso dettata da ragioni di appartenenza a qualche cordata, se non di personale convenienza.
Ora che Bersani non è più il capo, la sua leadership sfumata fatica persino a guadagnare il rispetto di chi fino a ieri lo sosteneva. All'inizio è stata la ex portavoce Alessandra Moretti, poi molti altri hanno seguito...
Si dice saltino sul carro del vincitore e al "vincitore" ne danno la colpa. Ma non è così. Il Pd di Bersani era un partito del leader. Solo, lo era in un modo molto diverso - e peggiore - di quanto avvenga in tutti i partiti del mondo: una specie di Democrazia Cristiana, balcanizzata in cento correnti, ma con un segretario preteso ineffabile, da Partito Comunista. 
La parte più triste, in questo patetico crepuscolo, è che ancora diano ad altri dei "democristiani". Manco fossimo nel 1989.

lunedì 2 settembre 2013

I "renziani"

Hey, magari mi sbaglio, ma Matteo Renzi ne ha per tutti: sì, per il correntone bersaniano e le sue sotto-correnti a lungo raccolte intorno al “caminetto”, ma non credo si fermi qui. Me lo conferma l’ironia con cui ha parlato dei “renziani” (una malattia, essere “renziano”…).
Ad alcuni non piacerà, ma alla fine è ciò che dico da fin troppo tempo: la battaglia di Renzi per il rinnovamento non è una “normale” conta interna al Pd. Matteo non vince “facendo le tessere”, attirando gli iscritti, raccogliendo gruppi dirigenti in giro per l’Italia. Matteo vince per il sostegno che può – e deve – raccogliere nella società italiana. Per il progetto che propone agli Italiani, non per il numero di segretari provinciali che riesce a portare dalla sua. O a far eleggere.
La sua sfida, sin dall’inizio è stata questa. E ha finora resistito – grazie al cielo – a ogni pressione, sia a quelle provenienti dagli avversari interni, sia a quelle di chi aveva fretta di consolidare la presenza “renziana” (la malattia…) nelle federazioni e nei circoli. Non si è “normalizzata” nella consueta battaglia interna, mantenendo la freschezza e la forza di una proposta fatta direttamente agli elettori del Pd e agli Italiani.
Nei mesi scorsi abbiamo discusso a lungo di come organizzare il lavoro a sostegno di Matteo. Alcuni – di fronte alla possibilità di una radicale chiusura del Partito – proponevano semplicemente di iscrivere i sostenitori e di portare la sfida nei congressi di circolo. Quella ipotesi si è presto scontrata con la realtà: ben pochi sono disponibili a prendere la tessera, perché la prospettiva di Renzi è strettamente legata alla natura ontologicamente (lo ha detto anche lui, posso continuare a usare questa parola…) aperta del Pd. La portata autenticamente rivoluzionaria della proposta di Matteo, il cambiamento radicale di prospettiva e di atteggiamento, possono vivere solo nella massima apertura, muoiono nelle liturgie e nei giochetti di potere dei soliti gruppi dirigenti. Matteo questo lo ha capito e agisce di conseguenza. Punto.
Il che porta con sé alcune conseguenze. Le quali, appunto, non a tutti piaceranno. Per farla breve: non ci saranno assessorati garantiti per i “renziani”, non si entrerà in un consiglio di amministrazione in “quota Renzi”, nessuno diventerà sindaco perché è “renziano”. O meglio, magari lo diventa, ma perché la sua storia e le sue caratteristiche lo fanno somigliare un po’ a Matteo Renzi e la gente lo vota. Non perché qualcuno ha distribuito i posti e quella poltrona lì tocca a uno della “corrente Renzi”. E nessuno, temo, potrà dire “Ok, sono qui da quarant’anni, ma sostengo Renzi: non vado rottamato”. No, non funziona così.
La “corrente di Renzi” non esiste per questa precisa ragione. Questo è ciò che manda in bestia le correnti che esistono davvero. Poiché, banalmente, è una cosa troppo diversa da loro perché possano capirla. Ma questo è anche ciò che piace, di Renzi, a molti che vogliono impegnarsi in politica, senza considerarla una carriera, una professione, un modo per sistemarsi.
Dal mio punto di vista, un motivo in più per sostenerlo.

domenica 1 settembre 2013

Ah, le correnti...

Bersani patisce a sentir parlare di correnti. Dice che Renzi ha la sua, di corrente. 
L'idea di "lotta al correntismo" che vuole contrabbandare Bersani, scommettendo ancora sulla credulità dei nostri militanti, è quella più tradizionale. Direi togliattiana, non fosse ridicolo ogni accostamento: ci siamo noi, che stiamo nel mezzo e siamo il Partito, poi ci sono gli altri, che stanno a destra (amendoliani) e a sinistra (ingraiani). Se "noi" siamo il Partito, "loro" devono essere le correnti. Dovrebbero dire "i deviazionisti" o "i frazionisti", ma almeno di queste parole un po' si vergognano. 
Negli ultimi anni e all'ombra di questa ipocrisia, la corrente cosiddetta "di maggioranza" si è radicata nei territori, si è organizzata, ha selezionato gruppi dirigenti sulla base della fedeltà e dell'appartenenza, ha organizzato il piccolo e grande potere di piccoli e grandi fedelissimi. Quella supercorrente si è articolata in sotto-correnti (franceschiniani, lettiani, fioroniani, d'alemiani, veltroniani, giovani più o meno turchi, bindiani, fassiniani,...), ognuna intesa a favorire l'ascesa dei propri adepti, contrattando spazi e potere intorno al famoso "caminetto"
In effetti, il problema di Bersani non è la supposta esistenza di una corrente renziana o la sua forza organizzata, ma il fatto che le sotto-correnti lo hanno sostenuto finché egli era la garanzia di immutabilità del quadro interno al Pd. E ora lo hanno scaricato. Oggi Bersani conta poco o nulla, non a causa della perfidia o del tradimento renziano, ma perché non serve più ai Fioroni, ai Franceschini, ai D'Alema o ai Letta. 
Se riuscisse a farsene una ragione e a riconoscere le proprie responsabilità in questa deriva correntizia subita dal Pd, sarebbe infinitamente più utile al Partito e a sé stesso: una valida alternativa a questo ruolo da anti-Renzi fuori tempo massimo, in un misto di livore e di patetica impotenza, che davvero non si addice all'ex segretario di un partito importante.

venerdì 30 agosto 2013

Non prendiamoci in giro/2

Avrete letto che, per togliere l'lMU prima casa del 2013, bisogna trovare i soldi. Cioè, quelli per la prima rata ci sono, quelli per la seconda li stanno cercando.
Questo perché ai comuni bisogna restituire ciò che non incassano. Cioè, lo Stato dà ai comuni quello che i cittadini non pagano. Elementare, fino a un certo punto.
Vediamo. Succede che, nel 2012, i comuni avevano l'IMU sulla prima casa, che era fatta così: ognuno paga il 4% della rendita catastale di casa sua, dopo aver tolto 200 euro più altri 50 per ogni figlio a carico. Perfetto: quindi lo Stato rende ai comuni quella roba lì e siamo pari e patta.
Però, succede che i comuni avevano la possibilità di aumentare o ridurre quel 4% del 2%. Cioè, potevano decidere di far pagare tra il 2% e il 6%: se facevano pagare di meno, dovevano trovarsi i soldi, se facevano pagare di più, si tenevano il surplus. Perfetto pure questo.
Ora lo Stato restituirà l'IMU non versata sulle prime case. E qui nasce la questione.
Mi spiego: cosa restituirà lo Stato ai comuni, a ciascun singolo comune?
Lo Stato potrebbe restituire quanto i cittadini avrebbero pagato ad aliquote standard, cioè il 4% meno 200 euro ciascuno meno 50 per ogni figlio a carico. 
Oppure, lo Stato potrebbe restituire, come molti propongono, il "gettito mancante". Cioè quello che i singoli comuni avrebbero incassato, in base alle aliquote deliberate, se l'IMU fosse rimasta. Vale a dire: lo Stato dà di più ai comuni che hanno alzato l'IMU prima casa nel 2012 e di meno a quelli che la hanno diminuita. Quindi, verrebbero premiati i comuni che hanno fatto pagare più tasse ai cittadini. Proprio quella tassa tanto ingiusta e iniqua da essere stata oggi abolita.
Se succedesse questo, sarebbe una presa in giro. Definitiva. 
Ma sono quasi certo che non lo faranno, perché costa meno la prima ipotesi e perché non sarebbe un buon modo di iniziare la nuova stagione federalista, quello di premiare chi ha aumentato le tasse a scapito di chi le ha abbassate. O no?
Vabbé, si accettano scommesse...

giovedì 29 agosto 2013

Non prendiamoci in giro

Almeno non prendiamoci in giro. Lasciamolo fare ad Alfano, che ridacchi pure sulla sua“mission accoplished”, ma tra di noi diciamoci la verità.

Dunque, abolita l’IMU sulle abitazioni principali, verrà creata dal 2014 la Service Tax. Sarà una tassa comunale, assorbirà IMU e Tares (cioè la vecchia tassa rifiuti) e dovrà garantire il funzionamento dei comuni, a parità di altre condizioni.

Le altre condizioni che restano immutate sono, in breve, le seguenti:

1.       La manovra “IMU ai comuni”decisa sul finire del 2012 ha prodotto, insieme ai tagli già inseriti nelle finanziarie precedenti, un nuovo taglio delle risorse per i comuni. Roba da centinaia di migliaia di euro o forse milioni, già per comuni di media dimensione. Quelle risorse in meno devono essere trovate nei bilanci comunali, che infatti non si sa come chiudere. E la cui scadenza è infatti slittata – per ora – a fine settembre.

2.       La Tares, nel sostituire la vecchia tassa rifiuti, contiene già un aggravio di 30 centesimi al metro quadrato, che non va nelle casse dei comuni. Quindi, il prelievo è già più alto, per quella quota, rispetto al 2012. Questo tralasciando gli aspetti finanziari e di cassa, visto che tutto il dovuto per il 2013 deve essere pagato prima di dicembre, mentre la tassa rifiuti si pagava con rate che arrivavano a maggio dell’anno successivo. Dunque, si paga di più e in anticipo.

La nuova tassa per i servizi dovrà garantire, per ogni comune, un gettito pari al totale della vecchia IMU (prime case e tutto il resto) più il totale della Tares (tassa rifiuti e addizionale) più quello che, nel giochino fatto a fine 2012, manca oggi all’equilibrio dei bilanci. Come questo possa tradursi in esborsi più bassi per i contribuenti è un mistero.

Di più – e qualcuno comincia subito ad accorgersene – se si paga per i servizi comunali, non in base al patrimonio posseduto, ci saranno effetti “redistributivi”del carico fiscale tutti da valutare.

Guardate che questa roba qui era già vera per la tassa rifiuti. Sulla quale, la retorica ambientalista del “chi più sporca, paghi di più” su cui si basava la spinta – alla quale, per tutta la vita, mi vanterò di avere resistito – per passare dalla “tassa” alla “tariffa” avrebbe prodotto effetti disastrosi sulle famiglie. Se devo pagare in base ai rifiuti che produco, quando vivo da single in una casa di 100 metri quadrati devo pagare un quarto o anche meno di una madre sola con tre figli piccoli che vive in un bilocale. Più in generale, il carico dovrebbe spostarsi pesantemente dalle imprese alle famiglie. Geniale.

In definitiva andrà così: o la tassa sui servizi avrà una forte (prevalente) componente patrimoniale, nel qual caso l’IMU sulle abitazioni principali ci sarà di nuovo, ma sotto falso nome, oppure davvero la nuova tassa non sarà una patrimoniale e allora a rimetterci (molto) saranno i poveracci, quelli che vivono in affitto, le famiglie numerose.

Ma, persino a prescindere dalla redistribuzione del carico, difficilmente si pagherà di meno. E saranno i comuni e i sindaci a dover trovare le soluzioni. Ammesso che, in un quadro del genere, la prossima primavera si trovi ancora qualcuno disposto a farlo, il mestiere di sindaco, per prendere schiaffi in coro dallo Stato e dai cittadini tartassati.

domenica 25 agosto 2013

Menomale che Silvio c'è

Oggi l'ho letto l'articolo di Eugenio Scalfari, 89 anni, fondatore di Repubblica. L'ho fatto perché mi sentivo un po' in colpa e perché tutti si ostinano a commentarlo, la domenica mattina.
Ho capito questo: che Berlusconi è molto cattivo, un pericolo per la democrazia e per il futuro dell'Italia. Dannazione!
Poi ho capito anche che se il Pd sta tutto bello unito "a difesa dell'interesse generale e dello stato di diritto" magari si riprende i voti che sono andati a Grillo e vince. Cioè, Scalfari non lo scrive che poi si vince, ma speriamo sia solo per scaramanzia che non ne fa cenno. Sennò stiamo freschi, senza nemmeno un po' di wishful thinking.
Comunque, il Pd deve stare tutto bello compatto "contro" Berlusconi, perché stavolta c'è poco da scherzare: in gioco c'è l'Italia. Per la settima volta.
Ora, un elettore un po' sgamato del PdL potrebbe rispondere che le sei volte prima, sarà pure stata in gioco l'Italia, ma non ce la siamo mica giocata. Che i mari continuano a bagnarla e il sole a splendere, magari solo un po' meno in questi giorni di temporali...
Ma sono sottigliezze semantiche. In gioco c'è l'Italia e il Pd, per salvarla s'intende, deve fare la settima campagna elettorale contro "le destre", contro il Caimano, contro il Giaguaro...
Non c'è spazio per nessuna novità, non c'è modo di uscirne. Dobbiamo continuare a legittimare, combattendolo, il ruolo politico e storico dell'avversario di vent'anni. Di aprire una stagione nuova, almeno provarci, non se ne parla neppure: c'è in gioco l'Italia, per la settima volta, non si scherza...
Allo scopo, potremmo magari resuscitare Di Pietro e Ingroia. Richiamare in servizio il popolodeifax e i girotondi, i micromega e le sabineguzzanti, i popoliviola e i senonoraquando. Tutti uniti per la settima volta, come un sol uomo e per un sol mese, "a difesa dello stato di diritto".
L'Italia non morirà di berlusconismo. Ma rischia di morire di questo antiberlusconismo militante e vagamente paraculo. Al quale si addice, più di altre, la massima filosofica "Menomale che Silvio c'è".
Pensare che l'alternativa, quella che serve per aprire una stagione nuova, dicendo e facendo cose nuove, c'è già e si chiama Matteo Renzi.

sabato 24 agosto 2013

Amore mio, non sono scemi

Oggi si discuteva di questa idea bersaniana di andare alle elezioni candidando premier Letta senza primarie. E qualcuno mi ha chiesto: "Ma sono scemi?"
Una sintesi efficace. Purtroppo, amore mio, non sono scemi. Lo fossero, potresti sperare di farglielo capire. Magari con più impegno, spiegandolo tante volte. Solo che non sono scemi: hanno capito benissimo.
Hanno perfettamente compreso che l'unico modo per mantenere la loro presa sul partito, il loro pezzo, piccolo o grande, di potere, il loro ruolo e le loro soddisfazioni è conservare le cose esattamente come sono.
Quindi non deve cambiare nulla: né la guida del Pd, né il candidato premier, né,  soprattutto,  la legge elettorale.
Non fare le primarie per scegliere il candidato premier è l'unico modo sicuro per garantire questo prezioso (per loro, ovvio) stallo. Creare le condizioni per rendere "impossibile" fare le primarie per la scelta del premier (almeno per i tempi cui sono abituati loro), attraverso una fulminea precipitazione degli eventi verso nuove elezioni è l'arma segreta di un apparato tanto più disperato quanto più pericoloso per il futuro del Pd.
Ovviamente, se questa mostruosa linea politica dovesse prevalere, si preparerebbe una nuova drammatica sconfitta. Andremmo verso una vittoria del centro-destra, con Berlusconi che risolve i suoi problemi diventando Presidente della Repubblica. Oppure, che è anche peggio, verso una vittoria di Grillo e Casaleggio.
Questa coazione a ripetere gli stessi tragici errori, portando agli stessi tragici risultati potrebbe essere analizzata come sintomo di un disturbo della personalità. Ma anche sotto l'ombrellone, baloccarsi con la psicoanalisi da un tanto al chilo non serve a molto. Non sono scemi, i bersaniani che vogliono candidare Letta senza primarie. Al contrario, sanno benissimo quello che fanno. Sono - semplicemente e tragicamente - disposti a tutto per non perdere il loro posto al sole, il loro seggio, il loro stipendio.
Anche a far fuori l'unico candidato che ci farebbe vincere: Matteo Renzi. Perfino a veder vincere Berlusconi e a vederlo assurgere, da delinquente, a padre della della Patria.
Tutto, purché il Pd resti nelle loro disastrose mani. Tutto purché ci sia un posto in Parlamento per loro, per i più fedeli.
Anche perché, se  non c'è tempo per organizzare le primarie per il premier, vuoi che questo tempo ci sia per farle - magari vere e aperte - per i parlamentari? E allora che Dio benedica il porcellum e Letta, la corsa alle urne e il giaguaro non smacchiato. 
No, non sono scemi. Sono scemi quelli che ancora gli vanno dietro.

venerdì 9 agosto 2013

Niente da capire

Io le conosco quelle riunioni lì. Conosco quelle serate o pomeriggi, convocati nei momenti più improbabili con quel senso di - definitiva, dunque irrinunciabile - urgenza. Riunioni a inizio agosto o all'antivigilia di Natale. Riunioni la sera di pasquetta o qualche domenica mattina di primavera. Riunioni la sera della finale dei mondiali, per dire.
Ci sono cose fondamentali da decidere e non si può proprio rimandare, che anzi abbiamo già rimandato fin troppo.
Lo so come finiscono quelle riunioni, dove la gente perbene corre visto che è importante. Ma intanto si dice che la prossima volta, col cavolo che darà la disponibilità per stare in quel direttivo, in quel coordinamento, in quella assemblea. Che la gente normale, anche quando si iscrive a un partito, continua ad avere altro da fare. E a riposare in agosto, la domenica, a guardare le partite. 
Le conosco quelle riunioni, che ne fai due e ti ritrovi soltanto con quelli che di politica ci vivono. E pensi che, forse, lo fanno apposta.
Conosco quelle riunioni dove la relazione non dice niente. E su quel niente parte il dibattito. E tutti parlano, perché l'argomento è importante e vuoi mica non intervenire. E tutti parlano, ma nessuno dice niente. Soprattutto, nessuno dice qualcosa sul motivo della riunione: resta lì a mezz'aria, che tutti lo sanno ma nessuno dice niente. Avrebbero voglia di dire qualcosa "i nuovi", magari alzarsi e gridare "di cosa cazzo state parlando? Ma la finite?" Ma quelli, che non sono scemi, se ne sono già andati da un pezzo: a godersi l'agosto o la domenica. O a guardare la partita.
Questo meccanismo - altro che apparato, regole o centralismo democratico... - tiene in vita gruppi dirigenti dei quali un qualunque partito normale - figuriamoci un partito "democratico" per ontologica apertura al coinvolgimento diretto dei suoi elettori nelle decisioni... - si sarebbe già liberato da un pezzo.
Sono quelle riunioni, fatte di linguaggi per iniziati, sottintesi, ammiccamenti e battute, ad allontanare la gente normale dalla politica. Dalla nostra politica e dal nostro partito.
La gente normale che non capisce, né mai capirà come si possa giocare questa stupida partita a fottere l'unico che può farci vincere. 
La gente normale che non capisce, né mai capirà come si possa convocare una riunione l'8 agosto per decidere la data di un congresso e poi non deciderla.
La gente normale che non capisce e non capirà mai. Semplicemente, perché non c'è niente da capire.

domenica 28 luglio 2013

La signora Maria

L'Italia Viva è la signora Maria, incontrata nella sala d'aspetto (senza aria condizionata) della stazione di Grosseto. La signora Maria che, in venti minuti, ti racconta la storia sua, che è storia d'Italia.
È nata in Puglia, la signora Maria, con quattro sorelle e un padre morto in guerra. Parte per Roma e si sposa. Muore il marito e la lascia sola, con una figlia piccola.
Ci sono tanti pugliesi a Milano e qualcuno le dice che lì, per chi ha voglia di lavorare, c'è di che vivere.
Parte per Milano, la signora Maria, a fare la baby-sitter.... ma la seconda volta dice "bambinaia". C'erano delle agenzie - serissime - per le bambinaie. E lei va a lavorare da una contessa: al mattino da lei e al pomeriggio dal fratello. Le danno 140.000 lire ciascuno, che "nel '71-'72 sono soldi..."
Poi assumono in banca, donne delle pulizie, ma solo per cinque ore al giorno. E allora la signora Maria va a fare le pulizie in banca, ma continua anche a fare la bambinaia e poi va tre ore al giorno nel grattacielo Pirelli, al self service, a servire i piatti.
Si compera la casa, la signora Maria: piccola, ma la mette a posto bene. E la paga in contanti.
È arrabbiata con l'Euro, la signora Maria, e coi politici: perché lei prende 1005 euro al mese di pensione e loro guadagnano un sacco di soldi. Ma poi si preoccupa e mi chiede che lavoro faccio io. E le rispondo col mio lavoro, quello vero, e che non mi lamento. 
Ma soprattutto, è preoccupata per le due nipoti, la signora Maria, mentre va al mare a Cerveteri da un'amica: studiano e sono brave, ma ha paura che dovranno andarsene "negli Stati Uniti d'America, come tutti quei dottori che diceva il giornale".
Ma alla fine ci spera ancora, la signora Maria: perché a Milano, per chi ha voglia, il lavoro c'è sempre e perché "voi giovani siete bravi".
E mi saluta, la signora Maria, dicendomi che a Milano fa caldo di giorno, ma di non preoccuparmi che la sera è ventilato. Io non ci credo, ma poi mi fa gli auguri, per quell'unica cosa che sono riuscito a raccontarle di me. Ma credo le basti per guardare ancora, con speranza, alla storia nostra.
Buon Viaggio, signora Maria.

giovedì 4 luglio 2013

La "maggioranza"

Quelli che dovevano smacchiare il giaguaro
Quelli che hanno "non vinto"
Quelli che non votare Marini è come non votare Prodi
Quelli che "il governo del cambiamento"
Quelli che intanto il governo col Pdl
Quelli che però il governo del cambiamento...
Quelli che togliamo il finanziamento pubblico ai partiti
Quelli che non lo tolgono
Quelli che la riforma elettorale
Quelli che intanto ci teniamo il porcellum
Quelli che speriamo la Corte Costituzionale tolga il premio di maggioranza
Quelli che aboliamo le province
Quelli che brindiamo, le province rimangono
Quelli che il congresso lo facciamo presto presto
Quelli che però lo facciamo per tesi
Quelli che però senza antitesi
Quelli che Renzi è una risorsa
Quelli che Renzi ha rotto i coglioni
Quelli che candidano Fassina
Quelli che candidano Cuperlo
Quelli che candidano Epifani
Quelli che una cosa è cambiare il Partito
Quelli che un'altra cosa è cambiare l'Italia
Quelli che non vogliono cambiare il Partito né l'Italia
Quelli che vogliono fare il Pd
Quelli che se lo sono già fatto
Quelli che a forza di farselo, lo hanno disfatto

"Alta sui naufragi  dai belvedere delle torri, china e distante sugli elementi del disastro, dalle cose che accadono al disopra delle parole celebrative del nulla..."

giovedì 23 maggio 2013

L'ultima goccia di splendore

La prima volta che incontrai Don Andrea Gallo ero molto più giovane di adesso. Ero segretario del Pds di Novi Ligure e facemmo un dibattito alla Festa dell’Unità con lui e Marida Bolognesi, che si occupava in Parlamento di politiche sociali. Si parlò di molte cose, soprattutto di immigrazione e di integrazione. Persino di jus soli. Quella sera, a rappresentare la comunità cristiana novese, era presente un altro prete vicino agli ultimi, Don Giuseppe Bruniera, che stava costruendo la meravigliosa realtà del Banco Alimentare.
La serata era stata voluta e organizzata da Michele B. Fasciolo, che qualche mese prima aveva già invitato Don Gallo a un’assemblea del Liceo Classico Doria della quale tutti ancora si ricordano bene. Don Andrea disse che tornava volentieri a Novi Ligure, perché “quando mi hanno chiamato per invitarmi, ho sentito la voce di un giovane con tanta passione e ho pensato che qui da voi c’è una speranza”.
Parlò come sapeva parlare lui, con quei toni che gli sono stati anche rimproverati. E con quella passione spirituale e civile che lo ha fatto amare da tutti, anche da chi non ne condivideva le idee. Allora Don Gallo era un personaggio locale, conosciuto per le sue opere a Genova e nell’entroterra.
Oggi lo riscopro punto di riferimento per tanti ragazzi che vent’anni fa erano bambini. Lo ritrovo coscienza critica di un’intera Nazione e mi sento molto piccolo di fronte alla sua, autentica, grandezza.
Genova e l’Italia perdono un altro pezzo – forse l’ultimo – di amore per la vita e impegno per gli ultimi di cui, oggi più di prima, si sente tanto bisogno. Forse davvero l’ultima “goccia di splendore, di umanità, di verità”.

mercoledì 8 maggio 2013

Via il Porcellum, subito!

Quando ho votato per la prima volta era il 1994. Votai per un anziano professore socialista - Giuseppe Maspoli - nel collegio Novi Ligure - Tortona per la Camera. E votai il Pds sulla scheda per la "quota proporzionale". Le cose non andarono come speravo, ma potei almeno dire, per i due anni che durò quella legislatura, che il candidato di Forza Italia - l'imprenditore Gian Piero Broglia - non lo avevo votato. E non era nemmeno dei peggiori.
La sera delle elezioni, tutti sapevano che aveva vinto Berlusconi. Io non ne fui contento, ma sapevo chi avrebbe governato. Non lo avevo scelto, ma altri - democraticamente, la maggioranza - lo avevano scelto. Mi rifeci qualche anno dopo, quando L'Ulivo vinse le elezioni. E la sera stessa tutti seppero che Romano Prodi sarebbe stato il nuovo Presidente del Consiglio.
In questi anni molti hanno provato a spiegarmi i difetti insanabili di quella legge elettorale, a partire dal fatto che non impedì i ribaltoni. Io pensavo piuttosto che il problema principale fosse il permanere di una "quota proporzionale" che, per la Camera, era assegnata su liste di partito bloccate. Arrivammo, per via referendaria, a un pelo dalla sua abolizione.
Poi tutto cambiò. Con una delle più clamorose sconfessioni della volontà popolare che in quel referendum si era comunque espressa, la quota proporzionale con lista bloccata fu estesa al 100% dei parlamentari da eleggere. Quella legge fa schifo, allontana i cittadini dalla politica, toglie loro la possibilità di scegliere il Governo e i parlamentari. In poche parole: questa legge elettorale è immensamente, vergognosamente, insanabilmente peggiore di quella precedente.
Per questa ragione, chi voglia davvero cambiare qualcosa nella politica e nel suo rapporto con i cittadini, dovrebbe fare una cosa subito, qui e ora: abolire la vigente legge elettorale e ripristinare quella precedente.
Poi si potrà discutere di riforme istituzionali, di un nuovo assetto dello Stato e dei poteri, di nuove forme di Governo. Tutte cose necessarie e urgenti, sulle quali si misureranno le capacità e le intenzioni di cambiamento di questo Parlamento.
Ma per cancellare questa legge elettorale bastano venti giorni, non servono maggioranze qualificate né doppie letture. Si può fare subito, si deve fare subito. Per dimostrare che, sulle riforme, il Parlamento fa sul serio. E per garantire all'Italia che, qualunque cosa succeda, non voteremo mai più con questo schifo di legge elettorale.
Su questa proposta, l'Associazione Adesso!Milano ha lanciato una petizione. Comunque la pensiate su tutto il resto, se siete d'accordo sulla necessità di togliere di mezzo la "legge porcata", vi invito a firmarla a questo indirizzo:

https://www.change.org/it/petizioni/parlamento-italiano-via-il-porcellum-subito-2

domenica 5 maggio 2013

C'è da essere scemi

Leggo in giro che qualcuno sta pensando a un congresso "chiuso" per il Pd. Quando la proposta è tanto grave - e inverosimile - la fantasia dei commentatori va a ruota libera. 

Si parla di un congresso per soli iscritti, di "tessera del tifoso" per eleggere il segretario. Qualcuno dice che voteranno solo gli iscritti 2012 (e non quelli che a fine anno furono caldamente consigliati di aspettare le "tessere nuove" per aderire...). Altri si spingono a ipotizzare un "congresso per tesi". Se non sapete cosa vuol dire, non ve lo spiego... Intanto sono sicuro che un "congresso" del genere non interessi a nessuno.

Pacatamente, dico: per pensare di affrontare così la tragedia in cui si è infilato il Pd, c'è da essere scemi. Oppure, c'è da essere tanto accecati dalla paura, dal risentimento e dal settarismo tracotante, da apparire scemi a qualunque normale osservatore esterno. Che all'atto pratico, visto che tra gli osservatori esterni rientra il 90% dei nostri elettori, è più o meno la stessa cosa.

Quando abbiamo fondato questo Partito, ci siamo mossi da un'oggettiva crisi delle forme politiche tradizionali. L'idea di fondo era di costruire una comunità dentro la quale si potesse stare con gradi diversi di coinvolgimento: ti iscrivi per entrare negli organismi dirigenti e dare una mano, voti ed eleggi gli organismi dirigenti (tutti) da semplice elettore.
Quel Partito ha raggiunto il massimo del consenso elettorale, in un momento difficile per il centro-sinistra: otto punti in più di quelli presi oggi, quando il "giaguaro" sembrava già mezzo smacchiato di suo. Quel Partito ha saputo coinvolgere pezzi di società che non si erano mai occupati di politica, ha superato di slancio la discussione sulla "fusione a freddo" tra Ds e Margherita, grazie a forze nuove - spesso giovani - che entrarono in quei mesi. Dalle mie parti, il primo coordinamento cittadino del Pd fu eletto coi voti di un migliaio abbondante di cittadini. E si fecero anche parecchie tessere, molte in più di quelle che ci sono oggi.

Purtroppo, mentre quel Partito provava a costruirsi con questi caratteri di innovazione, era in moto un lavoro contrario che puntava alla restaurazione. I signori delle tessere e della burocrazia - quelli che controllano le ricche fondazioni proprietarie degli immobili ex Ds e i generosi "rimborsi elettorali" - hanno impiegato questi anni per costruire una forma-partito chiusa, autoreferenziale, non contendibile: una forma partito funzionale - solo - al mantenimento del loro potere e alla sua trasmissione per canali di cooptazione e nepotismo. Quando vedete o sentite taluni giovani e improbabili dirigenti del Pd, sapete da dove vengono...

Uno non pretende mica tanto, ma quel minimo senso della misura, persino del ridicolo, che imporrebbe la situazione in cui ci siamo cacciati. Qualunque persona di normale intelligenza capisce che abbiamo perso le elezioni perché ci siamo chiusi, anziché aprirci, perché siamo apparsi "vecchi" e "uguali agli altri", perché mentre proponevamo un "Governo del cambiamento" pochi ci hanno considerati autentici interpreti di qualche vero cambiamento. Abbiamo perso perché ha perso - per l'ennesima volta - la linea della chiusura, di un partito che per essere "forte" diventa più debole, di una burocrazia politica senza arte né parte, intesa solo a conservarsi contro ogni novità.

Ora spiegheranno che - comunque - siamo al Governo. E dobbiamo occuparci dei problemi del Paese, non di questioni organizzative che interessano solo gli iscritti - in effetti, pochini... - e qualche commentatore. Non è vero e sarebbe anche venuto il momento di smetterla con la "responsabilità" usata come un manganello. Il Governo deve fare alcune cose, il Pd deve sostenerlo perché si facciano, anziché porre distinguo. Perché va bene discutere e mettere paletti sull'abolizione dell'Imu, ma se ci opponessimo - per dire - all'abolizione del finanziamento pubblico ai partiti o delle province, al dimezzamento dei parlamentari, alla chiusura del Senato, faremmo un definitivo pessimo servizio all'Italia e a noi stessi.

Poi, mentre sostiene il Governo, questo Partito deve pensare a sé stesso, a come rifondarsi per avere un ruolo decisivo nella politica italiana. Lo deve fare liberamente e con una discussione vera. Con regole democratiche e rispettando i propri fondamenti ontologici. Un Partito Democratico come quello che immaginano i signori delle tessere e della burocrazia, andrà incontro ad altre sconfitte e sarà un problema, invece che una risorsa, per l'Italia. Come si faccia a non capirlo, dopo tutte le sconfitte già subite, è materia per gli psichiatri più che per i politologi.

mercoledì 1 maggio 2013

Abolizioni

Io sono sempre stato favorevole a una tassa comunale sugli immobili che si applichi anche – e soprattutto – alle prime case. Sono sempre stato favorevole perché credo nel federalismo o, per dirla con meno retorica, al fatto che i sindaci siano scelti dalle stesse persone che poi ci mettono i soldi per far funzionare i comuni: “No taxation without representation”, o meglio viceversa. Ora, poiché la maggior parte delle famiglie italiane possiede la casa in cui abita, una tassa comunale sulle case è il modo migliore per collegare voto e portafogli.
Ero favorevole a questa tassa anche quando il centro-sinistra l’ha abolita per tre quarti. Lo sono rimasto quando il centro-destra ha tolto la parte restante. Lo sono ancora. Questo non significa – peraltro – che lo Stato non possa decidere di “restituire” le somme pagate dai cittadini e quindi "abolire" l'IMU, se questo rientra tra le priorità programmatiche del Governo.
Faccio un esempio: ogni cittadino paga la sua IMU al comune con le scadenze previste. Lo Stato gliela restituisce – nella dichiarazione dei redditi – in misura standard. Vale a dire: dato il valore della casa in cui abiti, ti restituisco il 4 per mille, meno la detrazione fissa (200 euro) e meno le detrazioni per i figli a carico (50 euro per ogni figlio). In questo modo, l’IMU sull’abitazione principale non c’è più, ma rimane il fondamentale collegamento tra voto e portafogli. Perché, se abiti in un comune che ha aumentato l’IMU dal 4 al 6 per mille, ad esempio, non avrai indietro dallo Stato tutto quello che hai speso. E potrai prendertela – giustamente – col tuo sindaco. Se invece hai la fortuna di vivere in un comune che ha diminuito l'IMU, riceverai indietro più di ciò che hai pagato. E potrai ringraziare di questo il tuo sindaco.
Facendo così, tutti i problemi sarebbero risolti. A partire dai flussi di cassa per i comuni. Perché invece, se togli l’IMU sulle prima case e la sostituisci con trasferimenti statali ai comuni, intanto complichi di molto i calcoli e rischi di favorire i comuni che hanno usato quella leva per aumentare le proprie entrate, poi c’è da vedere quando i soldi saranno versati nelle casse dei comuni. Un problema che, con la scadenza di giugno sospesa, già toglie il sonno a molti amministratori. Di più, con un meccanismo del genere, i comuni avrebbero tutto l'interesse a cercare gli evasori.
Dunque, piuttosto che avventurarci in una discussione ideologica pro o contro l’abolizione dell’IMU prima casa (poco credibile, visto che il centro-sinistra l’ha abolita già una volta e pericolosa, perché non possiamo lasciare al centro-destra il monopolio delle cose che piacciono alla gente), sarebbe più interessante discutere il come. Così tra l’altro i problemi dei comuni li affrontiamo subito. E li risolviamo, anziché lasciarli svolazzare a mezz’aria per mesi. Così non facciamo la solita parte di quelli che difendono la spesa pubblica improduttiva e –  quindi – le tasse che servono per finanziarla.
Tutto il discorso, sia detto per inciso, vale anche per le province. Che il Governo vuole "finalmente abolire". E speriamo non sia il Pd a mettersi, ancora una volta, di traverso.

mercoledì 24 aprile 2013

Coraggio, generosità e unità

Abbiamo dalla nostra il tempo, l’entusiasmo e la libertà. Per questo, alla fine, vinceremo noi.
Le convulse vicende di ieri hanno reso chiaro un fatto che andiamo spiegando da molti mesi: Matteo Renzi è l’unico leader del centro-sinistra capace di far paura a Silvio Berlusconi. Perché Matteo Renzi è l’unico che può batterlo. Non smacchiarlo, né mandarlo in prigione: semplicemente, mandarlo in pensione. Perciò Berlusconi ha paura e non si fida. Non si fida, soprattutto, di chi all’interno del Pd ha accarezzato l’idea di “bruciare” Renzi mandandolo oggi a Palazzo Chigi.
L’altra cosa che si è capita chiaramente – una volta depositata la cortina fumogena della propaganda – è che i referenti di Berlusconi all’interno del Pd non hanno nulla a che fare con Renzi. Di più, sono gli avversari di Renzi: quelli che hanno proposto Franco Marini per il Quirinale e che hanno affossato Romano Prodi nel segreto dell’urna.
Esiste un’alleanza di fatto, una convergenza parallela di interessi inconfessabili che può trasformare le “larghe intese” – scelta nobile, seria ed europea – nell’ “inciucio”. Qualcosa di molto meno nobile, serio ed europeo. Questa alleanza si basa sulla semplice considerazione che, una volta messa da parte la vecchia guardia del Pd (quella che ha perso, poi ha riperso, poi ha perso ancora, infine ha perso), non ci sarà più spazio nemmeno per Silvio Berlusconi. E viceversa. Si tenevano in piedi combattendosi, si tengono in piedi collaborando. Anche se non si fidano gli uni degli altri.
Ora, quello che si è provato a fare ieri, la presa di potere improvvisa da parte dei trenta-quarantenni, un putsch simile a un “Midas democratico”, era probabilmente un azzardo. Mandare oggi Matteo Renzi a Palazzo Chigi avrebbe comportato rischi pesanti. A partire dal pericolo di bruciare l’unica figura forte su cui il Pd potrà contare nei prossimi anni. Ma il metodo è quello giusto: una nuova generazione di dirigenti che si impone – senza timori e a viso aperto – come alternativa a quelli che hanno perso, riperso, perso ancora e infine perso.
Dicono non sia una questione anagrafica, che contano le idee. Io dico che sono storie e che, se non cambiamo prima le donne e gli uomini, non cambierà nulla. Soprattutto, non riconquisteremo il consenso degli Italiani.
Costruire un’alleanza generazionale vuol dire mettere la questione del ricambio prima e sopra tutto il resto. Perché si possono avere idee differenti e si può discutere, come peraltro fanno da trent’anni gli attuali dirigenti del Pd, partecipando ad un comune sforzo per dare al Paese un Partito Democratico forte e credibile. Se il repentino cambio di rotta pro-Renzi dei “giovani turchi” solleva qualche comprensibile sorriso, ci sono altri – più credibili, ma forse meno disponibili – che dovrebbero riflettere sull’importanza del passaggio al quale siamo arrivati.
Scrivevo a Giugno dello scorso anno che “siano di Firenze, di Monza o di Udine - quelli che ritengono necessaria questa alternativa devono lavorare insieme per costruirla. Insieme. Per vincere le primarie, vincere le elezioni e governare l'Italia. Servono coraggio, generosità e unità. E non esistono soluzioni intermedie”. Non andò così. Prevalsero posizioni diverse e qualche personalismo.
In un anno tutti sono cresciuti. A Firenze, a Monza, a Udine. Ognuno ha – oggi – un ruolo politico di primo piano nazionale. E una conseguente responsabilità. Sarà ben arrivato il momento di prendere in mano, insieme, il proprio destino. Che è poi il destino del Pd e dell’Italia: con coraggio, generosità e unità. Il tempo verrà, molto presto.

martedì 23 aprile 2013

Lessico Famigliare 2.4 - Il gran finale


"La persona migliore per guidare un esecutivo del presidente oggi si chiama sicuramente Matteo Renzi" - Piero Fassino

"Può risultare più accettabile anche per tutti noi dare un voto positivo a un governo ringiovanito che dia l'idea di una nuova politica e di un nuovo stile che avanza. La questione di Renzi non è banale" - Laura Puppato

"Per Palazzo Chigi si può pensare a una personalità di garanzia o a un leader politico: E Renzi rientra senz’altro in questo ruolo" - Andrea Orlando

"In direzione proporrò il nome di Renzi per la presidenza del Consiglio: ha ragione quando dice che non dobbiamo attendere, ma essere in grado di proporre una linea politica al paese" - Matteo (Orfini)

"Renzi a Palazzo Chigi? Sarebbe un bell'accadimento" - Alessandra Moretti 


Poi in Friuli ha vinto Debora Serracchiani. E quello che doveva smacchiare il giaguaro si dimentica di ricordarlo... sarà che, abituati a "non perdere", quelli che vincono devono sembrarci estranei.

sabato 20 aprile 2013

Il Puparo

Dicono che non si può votare per Stefano Rodotà, perché lo ha proposto Beppe Grillo.
Sostengono che non si possa, perché Grillo è un tribuno, un populista. Uno che ieri inneggiava alle dimissioni di Bersani da un palco di Udine.
Spiegano che non possiamo cedere in questo modo all'antipolitica.

Non sono d'accordo, per due ragioni.

La prima: Grillo ha proposto Rodotà, non il Gabibbo. Rodotà è un uomo di sinistra, una persona perbene, un uomo equilibrato. Non fosse equilibrato, non lo avrebbero scelto come Presidente del Partito Democratico della Sinistra, o come primo Garante per la privacy. Anche se proposto dai populisti, Rodotà resta Rodotà, coi suoi difetti e i suoi pregi. Non diventa mica una Lombardi o un Crimi per il fatto di piacere al M5S...

La seconda: il Pd ha proposto a Grillo un'alleanza per il Governo dal giorno successivo alle elezioni. Non possiamo dimenticarci per 50 giorni che il M5S è un pericolo per la democrazia e ricordarcene oggi perché Grillo osa essere felice delle dimissioni di Bersani. Cosa dovrebbe fare Grillo, dispiacersi? Semmai, l'elezione di Rodotà toglierebbe ogni residuo alibi ai grillini e imporrebbe loro quel senso di responsabilità che da settimane rimproveriamo non abbiano.

Dicono che nel segreto dell'urna i voti Pd a Rodotà verrebbero a mancare. Ma questo può succedere con qualunque candidato, a questo punto, compresa la candidata alternativa. Anna Maria Cancellieri è persona degnissima e di altissimo livello. Ma eleggerla Presidente sarebbe l'ennesima sconfitta della politica: 1.000 rappresentanti del Popolo che si affidano a un Prefetto, perché non sanno scegliere uno di loro. A voler combattere, sul serio, il populismo e l'antipolitica questa soluzione appare enormemente meno efficace della prima. O no?

Infine, ma non per ultimo: se a qualcuno venisse in mente di eleggere il Puparo coi baffi, sappia che dovrà vedersela con parecchia gente. Perché da qui - e da quel poco che resta del Pd - non se ne va nessuno. Ma ho l'impressione che la misura sia colma.

in viaggio con Manubrio