martedì 28 agosto 2012

Antifascisti, su Marte

Beppe Grillo è un fascista? Non lo so, ma so che è pericoloso. So che non è chiaro chi comandi nel suo movimento, se lui o l’editore del suo blog. E so che – cosa molto peggiore delle sue sparate contro la classe politica – si fa spiegare la politica estera dal suocero iraniano. So infine che, se governasse l’Italia coi suoi programmi, finiremmo sotto i ponti nel giro di qualche mese.

Antonio Di Pietro e Marco Travaglio sono di destra? Probabilmente sì. Io l’ho sempre pensato, anche quando il secondo partecipava come ospite d’onore alle feste del Pd. E gli applausi scrosciavano a ogni tirata contro il Cavaliere.

Questi tre signori insieme – al netto della buona fede di molti loro sostenitori – sono un pericolo per l’Italia? Credo di sì. Per questo mi preoccupo. E per questo vorrei che il mio Partito fosse capace di rappresentare una valida alternativa alla loro deriva populista e poco democratica. Vorrei che lo fosse, ma non lo è. Quindi, mi preoccupo di più.

Probabilmente, l’attuale gruppo dirigente del Pd non sarebbe credibile per gli elettori che si rivolgono a Beppe Grillo neppure se le facesse tutte giuste. La credibilità viene dalla propria storia personale. E temo siano già molti i cittadini che hanno – definitivamente – perso ogni fiducia nei nostri leader di prima, seconda e terza fila. Troppe le occasioni perse, troppi gli errori, troppi gli scandali e i compromessi che li rendono, agli occhi disillusi di un popolo in crisi, “uguali a tutti gli altri”.

E poi non le fanno tutte giuste, manco un po’. Quindi, mi preoccupo di più.

Le sbagliano, non per incapacità ma per scelta, proprio sul terreno che più favorisce i demagoghi del momento: il rapporto tra i cittadini e la politica, il ricambio del ceto politico e di governo, l’accesso al potere delle forze più vive e dinamiche della società. La logica che sta prevalendo è quella della resistenza ad oltranza. Di questo, la voluta contrapposizione tra le feste di partito – il “qui” di Bersani – e la rete internet fornisce una rappresentazione davvero plastica. Le feste, sempre meno numerose e sempre più piccole, diventano fortino dell’identità, luogo sempre più esclusivo della “vera” democrazia e della “vera” passione civile. Fuori, il diluvio.

Se la linea adottata è quella della resistenza, la prassi che ne discende somiglia invece a una – pericolosa – scommessa: puntiamo a vincere, o almeno a non perdere, così come siamo. Evitiamo di confrontarci con le questioni che il successo dei populisti dovrebbe invece rendere urgenti. Cerchiamo un modo per fermarli, senza doverci mettere in discussione.

Se il dibattito sulla nuova legge elettorale lo leggiamo da questo punto di vista, tutto diventa assai più chiaro. Il porcellum fa schifo. Tanto che qualcuno di noi ha raccolto le firme per abrogarlo, così come anni fa raccogliemmo quelle per togliere la quota proporzionale dalla legge precedente. Ma si può sempre fare di peggio. Quindi, se mi propongono una legge che lascia un terzo dei parlamentari alla nomina delle segreterie, affida il resto alla reintroduzione delle preferenze o a finti collegi uninominali come per le province e – soprattutto – dà un premio di non-maggioranza al partito che prende più voti… Ecco, se vengono e mi propongono una roba del genere, io rispondo: “Sapete che c’è? C’è che non mi interessa. E c’è che le schifezze del porcellum le risolvo in un altro modo. Faccio le primarie per i candidati di Camera e Senato e li metto in lista nell’ordine deciso dai cittadini. E faccio le primarie per il candidato premier, così poi metto il suo nome e cognome sulla scheda”. Troppo facile? Forse.

Invece – da quello che si legge in giro, perché la legge elettorale la stanno scrivendo in tre, chiusi in qualche scantinato… – pare che vada bene una legge col premio del 10-15% al il primo partito, con una bella quota di nominati e con un dibattito che sembra concentrarsi solo sulla scelta tra preferenze e finti collegi uninominali.

Questa è la scommessa, a perdere, dell’attuale gruppo dirigente del Pd: scommettiamo di prendere il 25%. E scommettiamo che né il Pdl né Grillo & Co. Prendano più del 25%. Avremo così un “solido” 40% dei parlamentari, grazie al premio di maggioranza. Poi scommettiamo che Sel e Udc facciano la loro parte e portino un 10-15% in Parlamento. Se tutto funziona, possiamo persino fare un Governo. Se va male, facciamo la Grosse Koalition. E la democrazia è salva, perché i demagoghi sono in un angolo.

Facciamo così: se dico che ha ragione Bersani a evocare il 1919 quando gli danno dello “zombie”, poi lo ammettete che questa scommessa ricorda gli ultimi mesi della Repubblica di Weimar? E che faccio bene a preoccuparmi, non per quello che dice Grillo, ma per quello che fa – e non fa – il mio Partito?

domenica 26 agosto 2012

Il web. E Tata Lucia


Pierluigi Bersani ha invitato i "fascisti della rete" ad "uscire dal web" e venire "qui" a dirci certe cose. Dove per "qui" si intende la Festa Nazionale del Pd, iniziata ieri a Reggio nell'Emilia. 
Nella società della comunicazione, ogni frase conta. Soprattutto se la scrivi, la rileggi e poi la pronunci in pubblico. Non puoi spiegare - dopo - che c'è tutto un discorso e che si deve ascoltarlo per intero, senza limitarsi a un passaggio. Non puoi invocare "il contesto", specie se la frase è - volutamente - ad effetto.
Se non vogliamo liquidarla come una manifestazione di discutibile muscolarità (che facciamo, se davvero viene Grillo a darci degli "zombie" alle feste di partito? Lo prendiamo a pugni?), questa frase dobbiamo analizzarla come un dato culturale, capace forse di fare luce sul modo in cui il nostro Partito percepisce sé stesso e il proprio rapporto con la società.
La gente in carne e ossa, il popolo militante, vengono contrapposti a una realtà che da "virtuale" si finisce presto per liquidare come "irreale". Non autentica, quindi non vera.
Molte persone, non solo i più giovani, considerano il web la propria principale fonte di informazione. Molti lavorano sul web, non solo chi si occupa di internet, ma tanti "normali" lavoratori che operano materialmente su dati, numeri, informazioni in rete.
Molti condividono pezzi non insignificanti della propria vita in rete, creano relazioni, parlano, discutono. Di amicizia, di amore, di politica. Non sono un ristretto club di nerd sfigati. Sono la parte più dinamica e produttiva della società. 
La quale, tra l'altro proprio perché dinamica e produttiva, ha bisogno di strumenti di informazione e comunicazione che non prevedano prendere un pullman e recarsi a Reggio nell'Emilia per sentire cosa ha da dire Bersani. O dedicare un'ora ad ascoltarlo, per intero, su Radio Radicale.
Ricordo bene il senso di sconfitta di alcuni militanti, orfani delle discussioni in sezione sino alle tre del mattino, di fronte al prevalere della televisione come luogo del dibattito politico. E ricordo i danni che ha fatto l'attitudine, pedantemente pedagogica, con la quale abbiamo a lungo denigrato la tv "cattiva maestra" e arma del diavolo. Inteso come Silvio Berlusconi.
L'altra sera, in televisione, Tata Lucia imponeva a un bambino di undici anni la rinuncia ai social network - roba da grandi... - e gli organizzava, in cambio, una merenda con gli amichetti. Il bambino ne è stato contento.
Temo però che gli elettori, anche i nostri, abbiano mediamente più di undici anni. E si aspettino - anziché lezioni sulla "vera" comunicazione e sul "vero" confronto democratico - che i politici vadano a cercarli là dove sono e dove hanno deciso di stare, anche su internet. 
Il rischio è che in rete ci siano solo i 5 Stelle. Insieme a Obama e agli arabi che hanno fatto la rivoluzione, guarda un po', anche via facebook. Però questa volta non potremo fare come con Berlusconi, lamentandoci che il signore è proprietario di televisioni. Beppe Grillo non "ha" il web. A meno che non decidiamo noi di lasciarglielo. Già.

giovedì 23 agosto 2012

Poveri turchi



Ho letto che Peppino Caldarola (già direttore de L'Unità) ce l'ha coi "giovani turchi" (Orfini, Fassina, Orlando, per citare solo i membri della segreteria nazionale). Perché vogliono fare i ministri e non se lo meritano.
Dice più o meno questo: intanto fanno i giovani, ma hanno quarant'anni. Inoltre, sono dove sono perché i "vecchi" ce li hanno messi, facendoli passare davanti ad altri più bravi. Scrive proprio "più talentuosi" e io mi chiedo se l'aver promosso giovani incapaci, invece di quelli bravi, non sia ragione sufficiente perché i suoi coetanei si tolgano di mezzo. Magari, dopo aver chiesto scusa. Ancora, i giovani turchi non hanno mai fatto un cazzo nella vita (ok, Caldarola non scrive "cazzo", ma il senso è quello...).
Mentre i "vecchi" si sono forgiati in dure battaglie politiche... Tipo: far fuori l'invincibile Occhetto, le riforme con la Bicamerale, mandare a casa Prodi due volte e due volte perdere le elezioni. Vien voglia di sorridere, ma c'è di che piangere.
In poche parole, non basta nemmeno essere un giovane turco, "iscrittosi giovanissimo alla direzione nazionale...", impegnato da tre anni ad estirpare la malapianta rottamatrice... Non basta essere quelli che il problema è sempre un altro, che in Parlamento puoi starci anche mezzo secolo che a noi non importa. Non basta avere tre narici e starsene bene allineati e coperti dietro una sbiadita riproduzione del Quarto Stato.
Proprio quella che ritenevano una virtù - il conformismo e la fedeltà al gruppo dirigente attuale - oggi viene loro rimproverato. E questo perché si azzardano a chiedere, in perfetta continuità con la loro linea, di entrare come ministri nel futuro Governo Bersani.
Quelli che si sono forgiati nelle grandi battaglie - hanno fatto il '68, mica pizza e fichi... - quelli che li hanno presi per mano e portati ai vertici del Partito, non hanno intenzione di farsi da parte. E loro, i giovani turchi, se ne stiano bravi. Sennò va a finire che dovranno trovarsi un lavoro.
C'è una lezione da trarre da questo triste dibattito? A me pare di sì. E con buona pace di quelli che "il problema non è la carta d'identità" è sempre la stessa: questi non si schiodano, se non li si caccia. Mettersi in coda per il proprio turno non serve a niente: alla fine, ti daranno dello scemo e ti metteranno da parte, se provi a salire sulla giostra anche tu.
Per i giovani turchi è un crudele contrappasso. Per tutti gli altri una specie di monito, che le tentazioni e le lusinghe non mancano di certo... 
Per noi la conferma che il ricambio - oltre che necessario e urgente, se vogliamo provare a vincere le prossime elezioni e governare l'Italia - è una battaglia. Proprio perché esso, per l'attuale gruppo dirigente, non esiste neppure come remotissima opzione. E la conferma, anche, che questa battaglia richiede unità di forze, coerenza di proposta e profili personali adeguati. Per dire, gente che ai molti Caldarola pronti a chiedere "Cosa hai fatto nella vita?", possa rispondere: "Perché, tu cosa avrai ben fatto?"

in viaggio con Manubrio