domenica 24 giugno 2012

Ogni giorno la sua pena

Qui ogni giorno ha la sua pena.
Leggo molto stupore, tra i commentatori, per l'aggressione verbale riservata in due giorni a Matteo Renzi. Qualcosa di mai visto, tanto che il conto degli insulti si è già perso.
Lo stesso stupore, misto talvolta di ironia, col quale vengono accolte le proposte - sembrano estemporanee, ma non le sono - di chi si affanna nel tentativo di depotenziare le primarie appena convocate. E fare fuori Renzi: niente primarie perché lo statuto non le prevede, primarie per soli iscritti, primarie a due turni...
Si dice che Renzi faccia paura e si spiega così la scompostezza di molti attacchi. Forse è vero, ma temo ci sia qualcosa d'altro. Che puoi capire se da queste parti ci hai passato un po' di tempo.
C'è una preoccupazione sincera che anima alcuni tra gli antirenzisti militanti. La stessa sentita per anni nei compagni che predicavano contro "le correnti". Persone perbene, gente che alla politica ha dato molto, educata a una precisa idea di Partito: c'è il gruppo dirigente, che sta nel mezzo. Chi sta nel mezzo insieme al gruppo dirigente è Il Partito, gli altri sono "le correnti". Potremmo discutere a lungo sull'origine togliattiana di questa visione, ma ci faremmo solo del male. E daremmo ragione a chi pensa che il Pd sia una brutta caricatura del Pci.
Invece, potremmo provare a fare uno sforzo: comprendere che non si fa il bene del Partito emarginando chi la pensa diversamente dal "gruppo dirigente". Che le primarie sono uno strumento utile, anche se non si conosce prima il nome del vincitore. Che il Partito rischia di fare una brutta fine se si chiude, non se si apre. Che, se uno ti presenta Matteo Renzi come "nemico del Partito" e poi chiede per sé il sesto, settimo o ottavo giro sulla giostra, forse non bastano più la tua sincerità e il tuo amore per il Partito a giustificarti, se gli dai ancora retta.
Vorrei dire queste cose ad alcuni compagni e probabilmente lo farò.
Ma poiché oggi a distinguersi nella campagna anti-Renzi è Rosy Bindi, temo di sentirmi rispondere: "Vabbé, ma quella è della Margherita". Essì.

sabato 23 giugno 2012

Scelte

E pensare che Matteo Renzi non si è ancora candidato. Forse lo farà oggi. Forse. Nel frattempo, però, la campagna è già partita e in grande stile. Lo dicevo io, che le primarie non saranno un pranzo di gala...
Dunque, negli ultimi due giorni, Renzi è stato: il candidato premier di Berlusconi, che manderà lo stesso al Quirinale, un residuato del '900, un portaborse, uno che é diventato sindaco per caso... Una specie di Pizzarotti, ma venduto e con l'arterio. Vabbè.
Intanto il dibattito interno ha preso la piega prevedibile: da una parte le truppe raccolte intorno al segretario, tre o quattro linee diverse, ma tutti con Bersani. L'unico che ha titolo per candidarsi alle primarie, spiega qualcuno. A norma di statuto.
Dall'altra quelli che aspettano e temono, forse, di rimanerci in mezzo; tra il caravanserraglio di Bersani e l'unica proposta di vero rinnovamento che, forse, sta per materializzarsi.
Credo però che, a parte le seghe mentali su vocazioni maggioritarie, modelli di partito e autenticità riformiste, un fatto stia emergendo con chiarezza: la linea di politica economica prevalente tra i sostenitori di Bersani è quella di Fassina. Che predica centralità del lavoro subordinato, si fotta il liberismo, gauche rétro e pedalare.
Chi la pensa in un altro modo dovrebbe porsi questa (facile) domanda: come si contrasta una politica sbagliata e pericolosa? Quindi, come fare per affermarne una diversa, vincere le elezioni e governare bene l'Italia?
Non so se la risposta verrà oggi da Firenze, ma lo spero. Di sicuro, non verrà dal riproporre gli scazzi interni di veltroniani contro d'alemiani. Non verrà da un congresso, né da un'assemblea. Dobbiamo solo misurarci col voto delle primarie. E ognuno scelga, tra le due parti, da quale stare. Io ho scelto.

sabato 9 giugno 2012

L'unica battaglia

Il mio amico Gianni Noli - un artista, ma anche uno che di politica ne capisce - un giorno mi ha detto così: "Nei partiti, le correnti non significano niente. L'unica battaglia che conta è quella tra chi ha il potere e chi, per cambiare le cose, vuole prendere il potere". Mi pare che abbia ragione.
In questo periodo, la speranza di un futuro per la nostra parte politica coincide con la "presa del potere" da parte di una nuova generazione. Qualcuno direbbe "presa del Palazzo d'Inverno", ma è roba per chi ha studiato in Russia.
Non è data altra strada, fuori da un ricambio generale e profondo del personale politico. Perché gli elettori non accetteranno meno di questo. E perché c'è chi il ricambio lo propone, fuori dal Pd. Offrendosi come alternativa al Pd.
Questa consapevolezza, insieme alla decisione del partito - forse obbligata, ma non certo scontata - di fare le primarie, consegna un ruolo e una responsabilità a tutti quelli che vedono l'urgenza del ricambio come una questione di sopravvivenza per un centro-sinistra di governo.
La responsabilità di essere all'altezza del momento. E quindi del compito. Aver affermato il principio delle primarie, per quanto fondamentale, non è che il primo passo. Chi ci guarda da fuori aspetta di vedere un'alternativa, per tornare a credere in questo partito.
Quindi - che siano di Firenze, di Monza o di Udine - quelli che ritengono necessaria questa alternativa devono lavorare insieme per costruirla. Insieme. Per vincere le primarie, vincere le elezioni e governare l'Italia.
Servono coraggio, generosità e unità. E non esistono soluzioni intermedie. Lo vedremo presto: le primarie non saranno una passeggiata. Il confronto sarà duro e le forze della conservazione non si faranno da parte. Cercheranno di vendere qualche operazione di facciata per il ricambio che non vogliono. Tireranno fuori molti cilindri e altrettanti spelacchiati conigli.
Non sarà uno scherzo. Ieri sera in televisione, mentre la militante novantenne di Ostia Antica proponeva il pensionamento di D'Alema e degli altri, Orfini&Fassina spiegavano che il ricambio non è questione di procedure. Nessun limite ai mandati parlamentari, l'importante è cambiare i ministri: loro ci sono, per quanto faccia sorridere.
A noi il compito - con coraggio, generosità e unità - di portare fino in fondo la battaglia. Come dice Gianni, l'unica che valga la pena di combattere.
E dovrebbe aiutarci sapere che essa non ha alternative.

venerdì 8 giugno 2012

Coraggio!

Ora che Gramellini ha scritto del "cupio dissolvi di una generazione politica", posso dire che ne vado parlando da un anno?
Per carità, non vinci mica niente se lo hai detto per primo. Anzi, magari mi diranno che porto sfiga. Piuttosto, fa impressione come una cosa a tal punto evidente possa essere sfuggita a tanti.
Dico io, ci voleva Grillo al 20%, che guadagna due punti alla settimana senza che nessuno si ponga il problema di cambiare registro, per capire che il registro non cambia perché non ne conoscono altro?
Può succedere qualunque cosa. Non la smettono. Uno si chiede: ma non la capiscono? Sì che la capiscono, ma fanno finta di niente. Se ne fregano. E resistono.
C'è ora il caso del sindaco-deputato di Civitavecchia. Che prima promette di dimettersi dal Parlamento, poi non lo fa e resta a tutelare gli interessi della città. Dice due bestemmie - che si possano fare bene due lavori come sindaco e parlamentare a tempo e che uno in Parlamento ci va, non per fare buone leggi, ma per aiutare i suoi paesani - ma nessuno fa la cosa più ovvia: cacciarlo.
Né sarà cacciato il capogruppo in Lombardia, che sta al mare mentre si vota la sfiducia a Formigoni. D'altronde, chi vuoi cacciare, se Penati sta ancora lì?
In questo clima effervescente di idiozie, i migliori sono quelli del voto a ottobre. Quelli che se votiamo presto, Grillo non fa in tempo a crescere e loro vanno al Governo. Dimenticano due dettagli. Il primo, che con questo ritmo, a ottobre Grillo sarà sopra il 50%. Il secondo, che nel 1994, Berlusconi impiegò due mesi per fare fuori Occhetto e la sua gioiosa macchina da guerra. Le elezioni le aveva volute il Pds, sicuro di vincerle.
Il problema è l'offerta politica: se la nostra non piace, gli elettori ne cercano un'altra. Allora bisogna cambiare la nostra. Ma è quello che non vogliono fare, perché significa innanzi tutto farsi da parte. Ma che si chiami Berlusconi, Grillo o Mario Rossi, nessuno potrà resistergli se non saprà rispondere, meglio di come fece Occhetto nel '94, alla domanda: "Lei nella vita, non facesse politica, che lavoro farebbe?"
La coazione a ripetere gli errori e le porcate, unita all'assoluta incapacità di cogliere lo spirito dei tempi, ha reso ormai del tutto intollerabile l'idea stessa che la politica possa essere una carriera.
La soluzione c'è, basta accettarne le dolorose - per alcuni - conseguenze: primarie per il premier e per tutti i candidati al Parlamento, due mandati poi a casa, un passo indietro delle insopportabili oligarchie e due avanti di chi non vive la politica come un modo per sistemarsi.
E il coraggio, da chi vuole cambiare per vincere, per mettersi in gioco. Ora o mai più. Ora o la palla resterà ai soliti strateghi. Che ogni giorno di più somigliano al Mago Oronzo: "Con la sola imposizione delle mani, posso rovinarti il partito e l'Italia".

lunedì 4 giugno 2012

Love is what you want

Bisogna parlare di contenuti. Da qui non si scappa. Anche perché il dibattito sui contenitori va bene a chi deve inventarsene qualcuno per sopravvivere. Ma ai cittadini non interessa.
Chi mi conosce lo sa, quando si tratta di contenuti, mi piace parlarne davvero. Dicendo quello che si vuole e spiegando con che soldi si compra.
Non parli di contenuti se dici che l'Imu è cara, che l'età pensionabile non va aumentata, che questo e quello non va tolto. Non parlo di contenuti, a meno che tu non riesca a spiegarmi anche - ma sul serio, mica a parole - dove andresti tu a prendere i soldi.
Allora, ci sarà tempo anche per queste cose - che sennò val poco la pena di fare politica - ma oggi ho pensato ad altro.
C'è che ieri sera - dopo tre giorni a sentir parlare di famiglia "tradizionale" - mi è venuto da buttar lì su Facebook che "Famiglia è dove c'è amore. Il resto sono balle". Ora, il concetto si potrebbe esprimere meglio, ma ciò che mi ha colpito è stato il numero di "mi piace" raccolto in una domenica pomeriggio. Soleggiata e di inizio estate.
Tra le persone che hanno gradito, c'è chi vive come me. Come noi. Altre non sono sposate per scelta. Ci sarà chi cresce figli da solo e chi vorrebbe sposarsi, ma non può. Perché qualcuno ha deciso che non basta amarsi, ma bisogna anche essere maschio e femmina per potersi sposare, in Italia. Ci sarà pure chi, semplicemente, conosce queste storie e non ne è felice.
Insomma ho pensato che, per ridare fiducia a un popolo stanco, demoralizzato e senza stimoli, contano anche cose che non costano niente. Davvero. Perché, semplicemente, non hanno a che fare coi soldi. Ma, forse, con la felicità, la speranza e tutte quelle cose che rendono bella la vita. E che, tra l'altro, ti mettono la voglia di fare. E di guadagnare, persino.
Se parliamo di contenuti, forse dobbiamo partire da qui, perché le persone hanno voglia di essere felici. E di amarsi.
E poi, sempre meglio parlare d'amore che dell'ultima trovata di Fassina (esiste, ormai è provato) e degli altri giovani turchi. Quelli che per salvarsi, son davvero pronti a mandarci per stracci. Noi e l'Italia.

sabato 2 giugno 2012

Altro giro, altra corsa

Un altro giro sulla giostra. Questo è l'unico obiettivo, l'unica cosa che conti davvero per le "leadership attuali" del Partito Democratico.
Ogni atto, ogni parola, ogni ragionamento sono condizionati - spesso determinati - dall'ossessione di restare, per un altro giro, in sella.
Tutto ormai suggerisce l'opportunità, persino l'urgenza, di un passo indietro. Ma più il segno dei tempi che cambiano - e richiedono cambiamento - si fa chiaro, tanto più radicale, irriducibile e tristemente fantasioso diventa lo sforzo di chi non vuole schiodarsi. Succede che, dopo una settimana passata a rivendicare la vittoria "senza se e senza ma" del Pd alle ultime comunali, si faccia avanti l'ipotesi di una "lista civica nazionale". La quale dovrebbe raccogliere i voti che il Pd non riesce a conquistare. E, chissà poi perché, portarglieli in dote. Come dire, tutti i "se" e i "ma" che circondano la recente "vittoria" elettorale: dall'astensione a Grillo. A noi che non guadagniamo un voto dal tracollo degli avversari.
C'è fantasia, ma anche disperazione in questa pervicacia. C'è il terrore di dover passare davvero la mano. Ma c'è anche l'arroganza di chi è abituato a restare a galla, da decenni, a dispetto di ogni cambiamento.
Se da trent'anni fingi di litigare - e ti spartisci il potere - dividendoti in correnti che sono nate nel Partito Comunista Italiano all'inizio degli anni '80 del secolo scorso, non puoi capire quando è ora di smetterla. Umanamente, antropologicamente, non puoi, se hai cambiato nome sei volte senza mai cambiare mestiere. O cercartene uno.
A livello nazionale, questa fantasia della disperazione ci parla della candidatura a premier di Pierluigi Bersani: alleati con chiunque, con qualsiasi legge elettorale, a ottobre o in primavera, con Casini o con Vendola, con Saviano o con Scalfari, purché Bersani sia il candidato. Una caricatura della "vocazione maggioritaria" che farebbe ridere. Non fosse che poi ti chiedono, polemici e allusivi: "Ma tu non eri per la vocazione maggioritaria?" Daje.
Dalle mie parti, invece, le cose vanno meglio. I posti, mi dicono, sono tutti assegnati sino al 2014. Resta solo il rischio delle primarie, che son tanto pericolose. Ma la soluzione c'è: arrivarci uniti, con un solo candidato di partito. Uno forte, si capisce. Ora sono più tranquillo: non ci sarà un'altra Genova o un'altra Milano. Faremo come a Parma. Evvai.
È ora di fare qualcosa. Che questi, se vanno avanti ancora un po', ci mandano davvero per stracci.

in viaggio con Manubrio