sabato 31 dicembre 2011

Stupidi ragionieri

Ho letto le dichiarazioni di Piero Fassino sulla “decisione” della Città di Torino di “uscire” dai parametri del patto di stabilità interno per il 2011. Troppo “stupido”, il patto, per meritare di essere rispettato.
Mentre scrivo queste righe non so ancora se il Comune di Novi Ligure sia riuscito a restare nei limiti fissati dalla legge per far partecipare gli enti locali allo sforzo generale di risanamento dei conti pubblici. Abbiamo fatto tutto il necessario, stiamo tirando le somme. Vedremo.
Quello che invece so è che sono in radicale disaccordo con l'affermazione del sindaco di Torino. Che trovo sbagliata nel metodo, inconsistente nel merito, pericolosa per le conseguenze che può innescare.
Sbagliata nel metodo, perché le leggi si cambiano, ma finché sono in vigore si rispettano. Scegliere di non rispettare una norma di legge non rientra tra le facoltà riconosciute a un sindaco. Inconsistente nel merito, perché il patto di stabilità, per quanto lo si possa liquidare come “stupido”, è uno strumento necessario a garantire che gli enti locali non vadano per la loro strada – dal punto di vista finanziario – vanificando gli sforzi fatti a livello nazionale per rimettere in ordine i conti.
Ma ciò che più conta, una posizione come questa è terribilmente pericolosa. Oltre che vecchia.
Intanto, come hanno sperimentato già ieri sera i miei amici di Alessandria, se la necessità di fornire servizi ai cittadini e contrastare gli effetti della crisi giustifica la “scelta” di non rispettare il patto di stabilità, perché non dovrebbe giustificare anche la “scelta” di spendere più di quanto si incassa, sfracellando le casse di un comune? In questo modo, tutto è consentito, la politica afferma il suo primato sulle “stupide” regole della ragioneria e tutti vivono felici.
Questo è esattamente il percorso che ha fatto l'Italia negli ultimi trent'anni, con ragioni politiche, di consenso, di difesa dei “diritti” che hanno prevalso sulle grige e “stupide” regole della buona contabilità. I risultati sono sotto gli occhi di tutti e non vale la pena spenderci altre parole.
Infine, la dichiarazione di Fassino sembra preludere a una battaglia perché le conseguenze pesanti previste dalla legge per gli enti che non rispettano il patto di stabilità interno vengano edulcorate. Sarebbe una schifezza, ma tante ne sono state fatte negli ultimi anni. Perché, di fatto, le penali non sono mai state applicate agli enti inadempienti.
É il trionfo della politica peggiore che abbiamo conosciuto. Quella che se ne frega delle risorse e degli equilibri di bilancio. Quella che ha potuto praticare e spesso continua a praticare la generazione precedente alla mia. Quella che, un paio d'anni fa, mi suggeriva di non essere troppo rigoroso, che ci vuole ottimismo, che altrove se ne fregavano del bilancio e vivevano felici... Il tempo sarà galantuomo, solo che poi qualcuno dovrà pagare il conto. E non saranno loro. 
Ma in fondo, tutto questo conta poco: nel trionfo di frasi irripetibili su quanto sia stato orribile questo 2011, io sento di chiudere un'ottima annata. E sono abbastanza felice. Con questa bella sensazione guardo al 2012... lo facessimo tutti e ci dessimo un po' da fare, invece di recriminare, forse avremmo qualche speranza in più.

lunedì 26 dicembre 2011

Quattro turni e un benchmarking

A volte mi domando se questo blog serva a qualcosa. Ripenso alla scorsa estate, quando iniziai a scriverci qualche sciocchezza, per la necessità - e il gusto - di mettere in chiaro alcune cose. Parlavo di un viaggio, che oggi è iniziato e proseguito per un pezzo. Tanto che adesso mi riesce di guardare alle cose di casa con la prospettiva della distanza. Che non le sfoca, ma aiuta a vederle senza l'ansia del giorno dopo giorno.
Ma, appunto, questo blog serve per chiarire alcune cose, specie a chi appare più refrattario a farsene una ragione. Quattro mesi fa diedi scandalo con due affermazioni: "non punto a fare il sindaco nel 2014" e "c'è in giro un clima di normalizzazione che punta a cancellare il rinnovamento avviato negli ultimi anni". A distanza di quattro mesi, il tenore del dibattito nel mio partito - magistralmente riassunto dall'amico Bruno Motta in un'intervista a Il Novese - è il seguente: "Marubbi fa casino perché vuol fare il sindaco, ma è una cosa "normale" e si faranno le primarie". Odio avere ragione quando preferirei sbagliarmi.
Lo schema è fin troppo facile da decifrare, il metodo sempre lo stesso: si banalizza una posizione di cui non si vuole discutere, la si condisce con qualche velata accusa di "ambizione" e di "individualismo", si rivendica il primato del Partito sulle beghe personali. Accettando persino il ridicolo di proporre primarie a due turni (prima di partito, poi di coalizione) per scegliere chi candidare in un'elezione a due turni: il quadruplo turno alla Novese.
Nonostante tutto, Io ci riprovo, perché a Natale si dovrà essere più buoni, ma di certo non pirla, come dicono da queste parti. 
Possiamo discutere di come un grande Partito, anche in sede locale, seleziona, protegge e promuove gruppi dirigenti nuovi e giovani? Ci chiediamo se abbia senso considerare la città come un premio alla carriera per chi fa politica da quarant'anni o se non sia venuto il momento - magari ce lo chiedono i cittadini... - di dare spazio ad altri, fuori da ogni logica di nepotismo e di cooptazione? 
Io a queste domande non ho mai ricevuto risposta. Si preferisce discutere della mia candidatura che non c'è e non ci sarà. E di quanto mi aiuterà fare il rottamatore in vista delle primarie. Io continuerò a porre la questione e a farlo, anche se non sono candidato a niente. Spero che, prima o poi, si vorrà discutere di questo.
O in alternativa, che qualcuno si decida, prima o poi, a voler parlare del bilancio del Comune, della cura che gli abbiamo fatto, dei risultati che abbiamo raggiunto. Magari dando un'occhiata intorno e facendo un po' di benchmarking a livello provinciale. A proposito di selezionare, proteggere, promuovere nuovi gruppi dirigenti, forse dalle mie parti, soprattutto nel 2012, potrebbe servire giocare un po' a "trova le differenze". O no?

domenica 11 dicembre 2011

Stipendi, vitalizi e qualità della democrazia

Sappiamo bene che, con questa legge elettorale, ci si può aspettare ben poco dal singolo parlamentare. Puoi contare sulla sua personale onestà, sul suo senso dello Stato, sulla sua voglia di essere ricordato come una persona per bene. Ce ne sono, non vi è dubbio. Ma il metodo di selezione favorisce la scelta dei peggiori: i voltagabbana ci sono sempre stati - tanto che dubito molti ricordino cosa sia una "gabbana" - ma in questo Parlamento hanno raggiunto l'apice del numero, della notorietà, della sfacciataggine.

Ma non è di questo che voglio parlare, anche perché rischio mi diano del demagogo. Vorrei discutere dei rimedi possibili a questa situazione e di ciò che si discute in questi giorni: stipendi e vitalizi.

Il vitalizio per i parlamentari, che non è una pensione, fu pensato per dare forza al principio costituzionale del mandato che si esercita senza vincolo. Il ragionamento era: se garantiamo al parlamentare di che vivere dopo la fine del suo mandato elettivo, egli sarà più libero dai vincoli di partito e potrà agire secondo coscienza, perché non dipenderà economicamente dalle decisioni di altri.

Il problema sorge quando chi si propone di condizionare le scelte di un parlamentare abbia argomenti ben più "convincenti" rispetto al vitalizio. Penso alle cifre a cinque o sei zeri di cui si è parlato nei mesi scorsi. Ma anche, più semplicemente, alla promessa di rielezione.

E qui veniamo alla questione dello stipendio, perché è proprio il valore elevato di quello stipendio ciò che rende appetibile - da un punto di vista strettamente economico - la scelta di vendere il proprio voto per restare in Parlamento. Allora, per fare le cose bene, si dovrebbe mantenere il vitalizio riducendo drasticamente lo stipendio, con tutti i suoi ammennicoli. Un parlamentare che non fosse più d'accordo col suo partito, potrebbe andarsene come un uomo libero. E non avrebbe troppi incentivi a starsene buono e zitto. Minore sarebbe anche l'incentivo a vendersi in cambio della rielezione.

Rilevo che il dibattito parlamentare sta andando nella direzione opposta: via i vitalizi, ma giù le mani dagli stipendi. Saranno contenti i padroni dei gruppi parlamentari. Saranno contenti anche i molti peones dell'una e dell'altra parte. Qualche uomo libero, lo abbiamo?

lunedì 5 dicembre 2011

La campanella

Non vorrei parlare delle pensioni. Sono il tema più delicato e che solleva maggiori proteste. E’ così da vent’anni, me lo ricordo bene, da quando si è cominciato a discutere e a riformare il sistema. In questi vent’anni, migliaia e migliaia di italiani hanno continuato ad andare a riposo con pensioni di gran lunga superiori a quanto avevano versato. Quel costo, insieme a quello di decenni di prepensionamenti e altre storture, grava sulle generazioni successive. Ciò che cambia da ieri è che il peso finisce sulle spalle di tutti quelli che ancora lavorano, non solo dei più giovani. Non è una bella notizia, perché tutti – anche io – preferiremmo andare in pensione a 55 anni, con 35 anni di contributi e l’80% dell’ultima retribuzione. Ma sappiamo bene che questo non è (non sarà più) possibile. Auguri di buona pensione a chi ci è riuscito. E di buon lavoro a tutti gli altri.
Nella manovra di Mario Monti, spiegano molti attenti osservatori anche della mia parte, manca “la patrimoniale”. In effetti, pare che nessuno degli articoli e commi del decreto legge si intitoli “tassa patrimoniale”. Questo è sufficiente per dire che non vengono tassati i grandi patrimoni? Mi pare di no. Le novità sugli immobili ci sono e pesano in misura molto diversa tra prime e seconde case. E fatemi capire, se si vuole mettere una tassa sui patrimoni in Italia, su cosa si deve agire se non sulle proprietà immobiliari? Poi c’è altro, dal prelievo sui capitali rientrati con lo scudo fiscale alle nuove tasse sui beni di lusso. O qualcuno pensa – mentre il problema sono i tassi sul nostro debito pubblico – che si debbano “tassare i Bot”?
Questo discorso si collega a quello sull’equità, che in Italiano si traduce più o meno “paghi chi non ha mai pagato”. Poi però c’è chi intravede un deficit di equità nel mancato aumento delle più alte aliquote Irpef. Ora, chiarito che chi guadagna 70.000 euro all’anno sta meglio di chi ne guadagna 30.000, bisognerà pur ricordare che a pagare l’aumento dell’Irpef sarebbe stato chi quei 70.000 euro li dichiara: lavoratori dipendenti ad alto reddito. Sarà più equo colpire loro o – attraverso una maggiore imposizione sul tipico bene rifugio degli evasori, l’investimento immobiliare – provare a tassare chi quei redditi li ha, ma non li dichiara?
Sui costi della politica, forse nessuno se n’è accorto, il Governo ha fatto praticamente tutto quello che poteva: ha ridotto gli stipendi dei ministri. Quelli dei parlamentari deve ridurli il Parlamento, quelli dei consiglieri regionali, i singoli consigli. Per decreto non si può fare, se non si vuole rischiare un conflitto costituzionale di attribuzioni che potrebbe vanificare tutto lo sforzo. Identico discorso vale per la semplificazione della macchina amministrativa, con il lungo elenco di enti e organismi soppressi. E soprattutto, con l’abolizione delle province. Che scritta così, nel decreto non c’è, semplicemente perché le province sono previste dalla Costituzione (ce le abbiamo messe noi, non i Padri Costituenti…) e per decreto non si possono eliminare. Ma avete capito cosa succede alle province nei prossimi nove mesi?
Insomma, a me non pare poco, né per l’equità né per la semplificazione della pubblica amministrazione. E oggi lo spread coi bund è sceso sotto i 400 punti base. Che parlarne sarà pure un noioso e astruso tecnicismo, ma siccome a me piace mangiare tutti i giorni e vorrei farlo ancora per qualche decennio, mi ci sono abituato. E penso che conti di più l’andamento dello spread che la simpatia o il consenso che potrei ottenere partecipando – insieme a troppi amici – al gioco un po’ paraculo delle critiche, dei distinguo, del tirare indietro la manina per paura di bruciarsi un poco.
Non so quanti tra i miei amici che si occupano di politica lo abbiano capito, ma quella che si sente suonare è la sirena dell’allarme. Non la campanella della ricreazione.

in viaggio con Manubrio